L’arte oscura del comping al piano

Lo sapevi che... Un pianista jazz è fatto dall’80% di accompagnamento? Eppure molti si concentrano più sui propri soli trattando il comping (come lo chiamano gli americani) come una pratica oscura. Pochi hanno avuto l’occasione fortuita di capire realmente come farlo in maniera naturale.

L'arte oscura del comping al piano

scritto da Luca Ridolfo

Lo sapevi che…

Un pianista jazz è fatto dall’80% di accompagnamento?

Molti si concentrano più sui propri soli trattando il comping (come lo chiamano gli americani) come una pratica oscura. Pochi hanno avuto l’occasione fortuita di capire realmente come farlo in maniera naturale.

Per questo motivo, nell’articolo di oggi andremo a vedere alcuni concetti base, ma di cui nessuno ne parla. Sebbene questa pagina non sia del tutto esauriente, in compenso il valore delle informazioni che andrò a condividere con te in questo post è veramente alto. Se vuoi migliorare il tuo comping con un approccio passo-passo (diventando l’accompagnatore preferito dai cantanti), scarica gratuitamente il mio report “COME DIVENTARE UN ACCOMPAGNATORE MIGLIORE”, cliccando qui >>

La prima cosa da notare è che mentre accompagniamo stiamo ragionando come un batterista, un arrangiatore e uno strumento melodico. Tre cose allo stesso tempo. Siccome possiamo perdere ore a parlare di ogni singolo elemento, quello che voglio darti oggi sono tre consigli pratici per migliorare il tuo comping.

Andiamo a vedere il primo.

1) Pensa dall’alto verso il basso

Stefano Onorati, quando studiavo Pianoforte Jazz presso il conservatorio di Rovigo, mi ha fatto notare come tutto il comping debba essere melodico. In altre parole, una linea melodica armonizzata… e non un basso  sul quale vengono sovrapposte altre voci, come qualsiasi corso di armonia tradizionale insegna.

La conferma di ciò l’ho avuta scambiando una serie di lettere con il pianista Mike Longo, pianista negli anni ’70 nella formazione di Dizzy Gillespie. Mi sento veramente fortunato ad aver scambiato qualche parola con lui, specialmente dopo  aver appreso la triste notizia della sua scomparsa qualche mese fa (maggio 2020).

“All of us were taught to construct chords from the bass note up. However, this is very elementary and simply amounts to spelling the chords. Structures which emanate from the melody note down the chord are voicings, and this type of thinking is necessary to ensure that your chords lend themselves to natural voice leading patterns. Most students are thinking of their harmony from the bass note up, and this is the reason for problems in voicing and voice leading. This type of thinking will seriously impede the natural flow of voice leading as well as severely limit your thinking when improvising solos.”

Se non capisci bene l’inglese, ecco qui la mia traduzione.

“A tutti noi è stato insegnato come costruire accordi dalla fondamentale dell’accordo. Tuttavia, questo è molto elementare ed equivale semplicemente a “sillabare” gli accordi. Le strutture formatesi partendo dalla melodia lungo tutto l’accordo sono voicings (disposizioni di voci cordali), e questo tipo di pensiero è necessario per far si che i tuoi accordi si prestino ad avere un buona condotta delle parti. La maggior parte degli studenti pensa all’armonia partendo dal basso, e questa è la ragione dei vari problemi che si vengono a creare quando armonizziamo e connettiamo gli accordi. Questo tipo di pensiero impedisce fortemente la naturale conduzione delle parti, cosi come il tuo modo di improvvisare i soli.”

Rileggi più volte quanto scritto da Mike, è importantissimo che tu capisca il concetto che ci sta dietro. Molti, infatti, si domandano come è possibile costruire nuovi voicings o come questi siano costruiti. Mike è molto chiaro in questo: non sono altro che armonizzazioni di melodie.

Per cui, prima pensa alla linea e poi a come armonizzarla. Come lo puoi fare in pratica? Puoi prendere alcune battute di un brano, scrivere una melodia e armonizzarla come più ti piace. Continua a leggere perché solo cosi capirai meglio come fare questo. 

2) Il ritmo lo crei tu

Questo concetto mi è stato spiegato da Mike Longo e da Bruno Cesselli, noto pianista nel pordenonese e non.

L’idea di base è questa: il ritmo lo crei tu e chi suona con te. In altre parole, non esiste una griglia ritmica in cui poni le figurazioni ritmiche da te suonate. Quello che succede in verità è una sovrapposizione di linee ritmiche più o meno concordi con lo scopo di rendere il ritmo scorrevole. Un esempio lampante è quello già citato in un altro articolo di We See, dall’album Straight no chaser di T. Monk. Ascolta come raggruppa le varie figurazioni ritmiche e come suonano in relazione con gli altri componenti del gruppo. Copiare Monk per me è stata una vera lezione di accompagnamento.

3) Lavora da arrangiatore.

In questo paragrafo noterai quanto sia importante saper arrangiare, specie per big band. Puoi pensare, infatti, al pianoforte come a una big band in miniatura (con tutte le limitazioni del caso).

Con questo tipo di approccio, prova a creare varie versioni di un accompagnamento sopra un unico brano in questo modo qui:

  • Creare un accompagnamento sulla parte alta del pianoforte (come faresti per i brass in big band)
  • Creare un accompagnamento sulla parte centrale del pianoforte (come faresti per i sax in big band).
  • Crea un accompagnamento sulla parte medio bassa del piano come una sezione di tromboni (per farti un esempio, ascolta Koko di Duke Ellington)

 

Pensa prima alla melodia e poi a come armonizzarla, non pensare all’accordo. Come ben sai, se la melodia funziona bene, anche armonizzarla sarà più semplice. Tieni a mente che questo è il punto di partenza. Devi, infatti, aver fatto un buon studio sul voice leading concatenando le varie armonizzazioni in maniera organica.

Punto bonus – dal valore di fantastigliardi di euri.

Dato che creare una melodia di un accompagnamento è difficile, specialmente all’inizio in maniera estemporanea, perché non partire dalle note dello standard che stai suonando? Mi spiego meglio…

  • Prendi la melodia originale di uno standard e semplificala, cerca i punti su cui si poggia, le note di arrivo.
  • Usando queste note che compongono lo scheletro melodico, crea una nuova melodia.

 

In questo modo qui renderai i tuoi comping unici da un brano all’altro, dando l’impressione di suonare sullo standard.

In Conclusione

In questo articolo ti ho dato tre modi pratici di lavorare sul tuo comping. Ora ti resta solo da mettere in pratica queste tecniche investendoci un po’ del tuo tempo. Vedila più a lungo tempo, senza voler a tutti i costi ottenere risultati immediati. Sono sicuro che seguendo questi suggerimenti arriverai al tuo obiettivo molto prima di quanto tu immagini.

Se poi vorrai impadronirti di quella musicalità comune ai grandi accompagnatori, allora il mio consiglio è quello di scaricarti la guida gratuita “COME DIVENTARE UN ACCOMPAGNATORE MIGLIORE”, cliccando qui >>
Questo è un approccio che in Italia non viene spiegato agli studenti di jazz, nemmeno in conservatorio, lasciando un grande vuoto nella qualità degli accompagnamenti pianistici.

Sicuramente leggendo questo articolo ti saranno venute a mente un sacco di domande. Scrivile in un commento qui in calce all’articolo – solo cosi potrò veramente aiutarti.

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Luca Ridolfo è un pianista jazz italiano, attivo nella didattica da più di dieci anni.  Con pianofortejazz.it vuole rendere lo studio del Jazz alla portata di tutti con contenuti chiari e pratici.
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