La tecnica pianistica nel jazz

La tecnica pianistica nel jazz

scritto da Luca Ridolfo

Una domanda tipica di chi si presta a studiare piano jazz è questa: bisogna aver studiato classica prima di affrontare lo studio del jazz?

E soprattutto, esiste una tecnica pianistica “jazz” e una tecnica più “classica”?

Siccome ognuno ha la propria idea, vorrei illustrare la mia in questo articolo. A mio avviso, il primo concetto da comprendere è questo:

IL PIANOFORTE E’ UNO SOLO

Detto questo potrei chiudere l’articolo, se non l’intero blog. Invece, per evitare fraintendimenti, vorrei soffermarmi su questa frase. 

Quello che le persone non capiscono quando si approcciano al mondo del jazz è che il pianoforte non cambia in base allo stile suonato. Cosa significa questo? Per quanto banale e scontato possa sembrare, il modo per produrre il suono con il pianoforte nella classica è lo stesso che usate per “fare jazz”. Siamo noi che poi utilizziamo un diverso suono in base alla nostra idea musicale.

Pertanto, userete lo stesso tipo di TECNICA per suonare i due idiomi. E con tecnica non intendo gli esercizi dell’Hanon. Ogni volta che spiego il significato etimologico di questa parola, si apre il mondo. Perché?

La parola Tecnica deriva dal greco tekhné, che significa arte!

BOOOM! – Affondato.

Infatti, a mio parere, la tecnica al pianoforte non è semplicemente studiare l’Hanon o il Czerny. Per me tecnica è l’arte di saper produrre il suono al pianoforte. E tra qui e l’Hanon c’è un abisso infinito.

Ecco perché studiare classica diventa importante. Infatti, chi studia classica, affronta compositori che si collocano in un arco temporale di 300 anni. Che non è poco. Per questo motivo ci troviamo di fronte a una marea di musica, ognuna con il suo particolare carattere e il suo modo di essere eseguita. Di conseguenza, ogni pianista che si rispetti fa una ricerca a livello di suono e di sonorità per ogni compositore. E’ questo il processo che formerà la sua tecnica pianistica.

 

Ma allora, sta classica, bisogna studiarla per avere un buon suono?

Credo che qualsiasi pianista (ma non solo) dovrebbe cercare vari stimoli di varia natura e non limitarsi esclusivamente ad un genere.

Rispondendo alla domanda, sono sicuro che lo stesso lavoro di ricerca sonora si possa fare anche solamente studiando Jazz. Infatti, non è tanto il cosa si studia, quanto il come. 

Il problema è che questo tipo di lavoro viene affrontato maggiormente nel campo della classica rispetto al jazz, anche in ambiti di alta educazione musicale (vedi Conservatorio). Per tutta una serie di svariati motivi che non andrò ad elencare, il programma ministeriale di jazz si limita a delineare il cosa suonare, cosa improvvisare, quali note, ma non il come. Per mia esperienza, la ricerca del suono è un qualcosa che viene tralasciata, affidandosi al buon senso dell’allievo.

Cosa accadrebbe se venisse integrato, giustamente, anche questo argomento?

A mio parere, quello che ne verrebbe fuori è un piano di studi diverso. Essendo un argomento vasto potrebbe essere difficile integrarlo in un percorso di studi in conservatorio avente un monte ore totale di ore prestabilito per ogni allievo. Chiaramente, nel caso tu prenda lezioni private questo problema non sussiste.

Ritornando a noi, a questo punto qui ti starai chiedendo “ok, ma allora se non devo studiare l’Hanon o il Czerny… cosa studio?”

Cosa devi studiare?

La risposta più semplice sarebbe “tutto”.. oppure, “più sai, meglio è!”. A mio parere ci sono dei compositori di classica che bisogna assolutamente avere sotto mano, ovvero:

  • Bach… fai conto che qui in Olanda c’è un motto tra i pianisti “Geen dag zonder Bach” (ovvero, nessun giorno senza Bach… giusto per farti capire). Per noi pianisti, il Clavicembalo ben temperato è una buona palestra. Avere un discreto controllo tecnico sia nei preludi che nelle fughe è un buon punto di partenza.
  • Debussy: Fondamentale il Children’s Corner.
  • Ravel: Tombeau de Couperin (non tutta, ma avere sottomano il Rigaudon, Minuetto e Forlane è già un buon inizio).
  • Six dances in Bulgarian Rhythms – non troppo difficili ma “caratteristici”.

Chiaramente questo è un punto di partenza soggettivo. Probabilmente qualcuno la penserà in maniera diversa. E’ indubbio però il beneficio che comporta l’aver studiato questo tipo di repertorio. Ognuno di questi quattro compositori richiede particolari sonorità che ritroviamo anche quando suoniamo jazz.

Come vedi, le opere che ho riportato qui sotto richiedono già una discreta padronanza dello strumento. Specie per chi vuole affrontare il percorso di studi in Conservatorio, è impensabile partire da zero. O, volendo farlo, è bene essere pronti con una buona “strategia d’attacco” per essere in grado di raggiungere un livello soddisfacente il prima possibile.

“eh, ma Monk non aveva tecnica”… se questo è il tuo pensiero, fai le runs (le volate) come le fa lui, poi ne riparliamo.

“e allora, sono spacciato se non ho raggiunto ancora un buon livello?”. No, affatto! Anzi, mettiti il cuore in pace, perché è un lavoro che non avrà mai fine. Ed è proprio questo il bello… il continuo perfezionamento e la voglia di migliorarsi, per il semplice motivo che è bello farlo!

In Conclusione

Caratteristica fondamentale di qualsiasi artista è la curiosità. Il fatto di essere curiosi e di voler affrontare sempre cose nuove è il motore primo del nostro sviluppo artistico.

Il fare le cose non perché bisogna, quanto per arricchirsi e per espandere la nostra capacità comunicativa espressiva è quello anche che ci rende singolari. Prima di tutto, come persone.

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Luca white relief small
Luca Ridolfo è un pianista jazz italiano, attivo nella didattica da più di dieci anni.  Con pianofortejazz.it vuole rendere lo studio del Jazz alla portata di tutti con contenuti chiari e pratici.
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