Vengono prima le scale o gli accordi?

Vengono prima le scale o gli accordi? niente di tutto questo! Leggi l'articolo per scoprirne di più.
scritto da Luca Ridolfo

Vengono prima le scale o gli accordi?

Non ti preoccupare, stiamo sempre parlando di Jazz. Non sono ancora diventato un esperto di zootecnia. Oggi andremo a parlare a proposito di scale e di accordi. In particolare, quale dei due viene prima? quale dei due ha più importanza?

Una premessa: la risposta che ti fornirò con questo articolo potrebbe sconvolgerti. Sono sicuro infatti che chi è abituato alla maniera “tradizionale” di studiare jazz, potrebbe addirittura darmi dello scoppiato per le idee presentate in questo articolo.

Tieniti forte perché in questo articolo andrai a scoprire molte più cose di quante generalmente si insegnino in Conservatorio. E’ un articolo che vale veramente oro, in quanto ti proporrò un punto di vista che potrebbe mettere in discussione quanto hai appreso fino ad ora. Per ricambiare il valore che ti ho dato con questo articolo e molti altri, iscriviti gratuitamente all’area privata di Pianofortejazz.it, dove potrai trovare video tutorial su come eseguire i più conosciuti standard jazz.

Ritornando a noi, una prima domanda: vengono prima le scale o gli accordi?

Risposta: Nessuna delle due.

Sono sicuro che in questo momento il tuo cuore ha fatto un sussulto.

“Ma… come? e tutto quello che mi hanno insegnato?”

Per capire bene quello di cui ti sto parlando, è bene fare un salto temporale di circa 900 anni di storia della musica. La farò semplice – mi scusino fin da questo punto gli studiati in materia di storia musicale.

Un po' di storia...

I primi canti a due-tre voci risalgono al XII, durante il periodo della scuola di Notre-Dame, in cui ci si allontana dal canto monodico gregoriano. L’idea di base, come avrai ben già intuito, era di aggiungere ad una voce principale una o due voci. Facendo questo, è chiaro che sorsero tutta una serie di problematiche legate al combinare queste due-tre voci, con svariate possibili soluzioni.

Il culmine di ciò l’abbiamo con il mottetto, in cui venne più forte l’indipendenza tra le varie voci. Non c’era ancora l’idea dell’armonia (come l’abbiamo oggi). La cosa importante è che le varie voci suonassero bene.

Con i secoli successivi, vengono definite varie regole per classificare la consonanza (o la dissonanza) fra le varie voci. Gioseffo Zarlino (siamo a fine 500 – in pieno rinascimento), pone le basi dell’armonia definendo i modi maggiori e minori.

A questo punto arriviamo al barocco. La cosa diversa del periodo rinascimentale è che, seppur vi sia un’indipendenza delle voci, si viene a creare una gerarchia, con una maggior importanza delle voci superiori (melodia) ed inferiori (linea di basso). Cosi facendo, gli accordi vennero “sistematizzati” verticalmente in progressioni accordali e cadenze.

Come succede sempre nella storia della musica, se qualcosa suona bene viene creata una regola.

Pertanto, dopo questa parentesi storica, vengono prima le scale o gli accordi?

Nessuna delle due...

Ancor prima dell’accordo stesso c’è il movimento delle parti tra un accordo e l’altro, quello che noi chiamiamo “voice leading”. Questo stabilisce la natura dell’accordo. Su quest’ultimo possiamo utilizzare delle scale di riferimento per improvvisare.

Questo non lo dico io, ma lo hai potuto constatare tu stesso dal mio excursus storico.

“Ok, ma mi hai detto tutto questo per dirmi cosa? Cioè, cosa mi interessa saperlo, quando improvviso mica mi metto a pensare a 900 anni di storia!”

Hai ragione, nessuno ti dirà mai di farti tutto sto pippozzo quando sei a una jam session. Quando studi, invece, il pensare a questo ti è di grande aiuto. Infatti, capirai bene che:

  • Ogni nota dell’accordo deve avere una sua consequenzialità. Non le puoi mandare a caso. Oscar Peterson in questo era chiaro, anche con i suoi studenti.
  • Se varie linee sovrapposte formano un accordo e l’accordo è definito in base alla risoluzione di queste, è chiaro che se una di queste non risolve come dovrebbe avremo un risultato mal rifinito. Parlando di linee intendo anche quella improvvisata.

C’è una cosa ancora più importante che devi sapere: le sigle degli accordi rappresentano una semplificazione della semplificazione. Già il vedere verticalmente gli accordi lo è di per se. Se poi le sigle degli accordi vengono scritte senza tenere conto della risoluzione delle voci, il gioco è fatto. Spesso infatti si tende a scrivere un accordo siglandolo il più semplice possibile. In questo modo sarà più facile da leggerlo, ma andremo a privarlo della sua natura orizzontale.

“si, ok, tutto bello quello che dici… ma questo come si traduce in pratica?”

Ascolta una versione del tuo standard eseguita dal tuo pianista preferito.

Quanti accordi vengono suonati senza che siano scritti nella tua lead sheet? Se la risposta è “molti”, allora è perché loro hanno capito quanto scritto in questo articolo.

Se vuoi vedere come applicare questo concetto ai tuoi accompagnamenti, ti consiglio di scaricare la mia guida gratuita “COME DIVENTARE UN ACCOMPAGNATORE MIGLIORE”, cliccando qui >>

Questo è uno dei metodi sicuri che ho testato con i miei allievi per ottenere quella musicalità tipica dei grandi accompagnatori. Puoi ben capire che, se acquisisci questa, potrai diventare ben presto l’accompagnatore di fiducia dei tuoi amici cantanti e solisti!

In Conclusione

Come hai potuto capire da questo articolo, una caratteristica posseduta dai grandi musicisti è di vedere anche orizzontalmente l’armonia. Pensa ai vari accordi come dei semplici paletti ed esplora le possibilità che vi sono tra l’uno e l’altro.    

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Luca Ridolfo è un pianista jazz italiano, attivo nella didattica da più di dieci anni.  Con pianofortejazz.it vuole rendere lo studio del Jazz alla portata di tutti con contenuti chiari e pratici.
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